Francesca Campora
La mattina del 25 maggio, il giorno seguente alla tragedia del Mottarone, Mauro Biani, sulle pagine di Repubblica, ci consegna uno dei suoi potenti messaggi: in una sola immagine, la sintesi perfetta, la gravità e l’assurdità dell’accaduto e il nostro sentire, comune e diffuso. Un fatto terrificante circondato però da un vuoto denso e ottuso, un vuoto incolmabile.
Nel disegno di Biani la funivia è ancora integra, sospesa a un destino che intuiamo, immersa in una dimensione quasi irreale…lo sfondo omogeneo, nessun contesto, nessun riferimento. In tutto quel vuoto, di senso e di speranza, solo la sua stessa ombra, il presagio. Un’ombra a forma di Italia.
Nella forma dell’ombra, quel vuoto, lo stesso che abbiamo percepito ascoltando la notizia e che rincontriamo nella vignetta, trova un modo per esprimersi: è la domanda che ci tormenta, più o meno consapevolmente, da sempre; la domanda che, più o meno colpevolmente, mettiamo ogni volta a tacere. Ed è per il nostro tacere quel vuoto. Dove eravamo noi?
Noi tutti, dove siamo? Mentre lavoriamo, costruiamo relazioni, abitiamo la natura…a cosa dedichiamo il nostro impegno? A quale idea di noi, degli altri e del mondo ispiriamo le nostre azioni? Di quali valori nutriamo i nostri cuori e i nostri pensieri?
Perché i ponti crollano, le funivie precipitano, gli orditoi uccidono mamme lavoratrici, donne di ogni età vengono assassinate ogni giorno da chi è loro apparentemente più vicino, ogni appalto è una rapina combinata, i nostri ragazzi sono bulli o bullizzati? Perché quell’ombra a forma di Italia ci rivela inesorabilmente il vuoto che ci circonda?
Perché abbiamo perso il senso di essere parte di un tutto, pur continuando ad esserlo necessariamente.
Sganciate dalla comunità, dall’etica, dalla responsabilità, dalla partecipazione, le nostre azioni appaiono più leggere e semplici ma è solo un’illusione prospettica perché, più nascono sconnessi dal tutto, più i nostri gesti avranno conseguenze complesse e imprevedibili. Per molti.
E non importa se qualcuno di noi ancora faccia appello a una morale o pratichi gentilezza o se apparentemente sembriamo per lo più presenti e performanti. Il fallimento è di gruppo. Il senso della nostra comune origine e del nostro comune fine si è dissolto di fronte alla deflagrazione dell’immediato e di facili gratificazioni. E non è stato in un sol colpo, il nostro essere presenze responsabili si è sgretolato progressivamente e inesorabilmente perché abbiamo sempre lasciato la domanda senza risposte.
Yuval Noah Harari in “Sapiens. Da animali a dei” sostiene che l’individualismo sia la più efficace strategia del capitalismo.
Sempre più distanti gli uni dagli altri è più facile tenere lo sguardo basso sul profitto…il mercato offre senza tregua, a tutti, e farne parte sembra essere l’ultima legittimazione possibile…la vita vera, le vite degli altri, un eco sempre più lontana e impotente.
E nel vuoto a proliferare sono le leggi, i decreti, le normative, i moduli, le carte, gli sportelli…null’altro che nuovi modi per soffocare la domanda, che è semplice ed esige una sola semplice risposta: la nostra scelta di tornare a essere presenze responsabili.
Al di là e prima di qualsiasi impianto normativo, c’è sempre la scelta e la coscienza di un singolo uomo, che si tratti di manutenere un impianto, di accogliere la diversità o di dirigere un’azienda. E prima ancora c’è il progetto di una società per il proprio futuro.
I controlli servono a intercettare e correggere le devianze ma qui il problema è sistemico e richiede una grande riforma culturale, un impegno storico che, prima di occuparsi di strumenti e finanziamenti, si interroghi su come ripristinare, ispirare e coltivare una visione profondamente umanistica del nostro stare al mondo.
Se non volgiamo essere a bordo della prossima funivia sospesa nell’osceno vuoto delle nostre responsabilità umane, abbiamo un grande e importante lavoro da iniziare subito e prima di tutto nelle nostre scuole, che devono diventare spazio di eccellenza e inclusività in cui rafforzare e rinnovare continuamente i valori che vogliamo al centro della nostra vita e della nostra cittadinanza.
Educazione civica vuol dire eliminare quell’ombra minacciosa a forma d’Italia.
Immagine di Mauro Biani – La Repubblica, 25 maggio 2021
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