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Francesca Campora

Sono in attesa.

Di una nuova vita.

Nascerà in una giornata di novembre e con lui, in famiglia, rinasceremo tutti, una volta ancora, ognuno a suo modo.

Potenza di ogni inizio e delle molte possibilità che necessariamente (e fortunatamente) lo seguono.

Se tutto andrà bene, l’attesa sboccerà in una gioia essenziale e primordiale, viscerale, quasi indicibile.

Se tutto andrà bene, la fatica sarà compensata, il desiderio troverà realizzazione, l’attesa confluirà definitivamente e naturalmente nel senso.

L’attesa. Quella che ha nutrito, scritto, riscritto e reinventato ogni momento del percorso.

L’attesa che ha reso possibile l’emergere di tutto il significato, ha dato il tempo alla motivazione, ha trovato il giusto spazio per quello che verrà, ha pazientemente raccolto, strada facendo, consapevolezza, energia e risorse.

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L’attesa. Quella che sempre più suona come “perdita di tempo”. L’attesa non ha cittadinanza tra le righe della nostra affollata agenda, non è ammessa agli appuntamenti, ci fa innervosire negli aeroporti, nelle stazioni e alle fermate del bus e, fuori dall’ambito lavorativo, ci sembra una beffa del destino, un inaccettabile squilibrio rispetto al nostro diritto/dovere di godere di un tempo “riempito-di-cose- belle-da-fare” e quindi da filmare perché possano essere mostrate agli altri e testimoniare la nostra appartenenza.

L’attesa come spazio della concentrazione, dell’autenticità e dell’unicità, si scontra con il flusso alluvionale della fruizione immediata e continuativa.

Senza attesa esce di scena il progetto e con lui il tempo e il lavoro  necessari al suo progressivo prendere forma; escono di scena la preparazione del momento giusto, l’immaginazione, la consapevolezza emotiva, il senso e l’autentico godimento della conquista, della meta raggiunta alla fine di un cammino. Dove il cammino, con tutte le sue tappe e le sue fatiche, serve a rivelarci e a metterci in asse con l’obiettivo.

 

L’attesa che innesca e abilita il nostro essere creature progettuali, non geneticamente e necessariamente determinate ma libere e capaci di trovare in sé il senso e quindi di orientare la propria vita e di cambiare lo stato delle cose.

L’attesa che dona lo spazio per scoprire o ricordarci chi siamo e il tempo per filtrare l’essenziale e lasciar andare il resto, le mille “cose-belle-da-fare” che tutti indistintamente fanno e immediatamente mostrano.

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L’attesa come laboratorio di sé e della vita attorno a sé.

L’attesa come tempo della pienezza.

L’attesa come spazio per dare corpo alla speranza.

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In spagnolo “attendere” si dice “esperar”.

FOTO DAL WEB

 

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