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Francesca Campora

«I’ve seen things you people wouldn’t believe,
attack ships on fire off the shoulder of Orion,
I watched c-beams glitter in the dark near the Tannhäuser Gate.
All those moments will be lost in time,
like tears in rain.
Time to die.»

 

Qualche giorno fa ho rivisto “Blade Runner”.

Ho notato che quando si riguarda un film già conosciuto, l’attenzione si sofferma ogni volta su aspetti e dettagli diversi. Con una pellicola “multidimensionale” come questa, ovviamente le opportunità e gli angoli di lettura sono di più e più vari. Lo stesso film, molti linguaggi, molti significati.

C’è però anche il nostro sguardo, che rinnova l’opera mettendola a contatto con il nostro tempo e il nostro vissuto; anche di fronte all’arte siamo come l’osservatore della fisica quantistica, quello che determina la realtà nel momento del suo particolare rapporto con l’oggetto osservato.

Ogni significato è, alla fine, il risultato dell’incontro tra uno sguardo e il suo oggetto. In un preciso contesto.

Qualche giorno fa, Blade Runner è stato per me un film che, soprattutto, preannuncia (siamo nel 1982) le devastanti conseguenze dell’uomo sull’ambiente. Totale assenza di vita naturale, animali artificiali che sostituiscono i loro estinti predecessori, sovraffollamento, iperurbanizzazione e una fitta coltre di smog che impedisce ai raggi del sole di raggiungere il suolo. Un ambiente oppressivo e ostile, creato dagli umani e che alla fine determina la loro stessa alienazione, la loro fuga e l’irrimediabile dissoluzione di tutto ciò che più propriamente è umano.

Qualche giorno fa, fiumi aridi e terra secca attorno a noi, buio e macerie sullo schermo.

Qualunque cosa abbia visto Roy Batty, “…tutti quei momenti andranno perduti come lacrime nella pioggia”…il tempo è terminato, senza che nessuno raccolga e conservi memoria, impari e quindi cambi.

Da qualche giorno penso incessantemente a tutto il tempo che abbiamo avuto per accogliere la voce della scienza, comprendere e quindi cambiare. Di riscaldamento globale si parla da più di un secolo. Eppure…

In queste ultime settimane la siccità, gli effetti del cambiamento climatico e quindi della nostra rapace e dolosa incuria rispetto al pianeta, hanno improvvisamente distolto l’attenzione dalla guerra e dalla pandemia.

I giornali attivano quotidianamente e sollecitamente nuovi allarmi: siamo bravi a spiegare le vele al vento dell’emergenza ma abbiamo totalmente disimparato a prepararci quando il vento sta cambiando.

Ci angosciamo, ci preoccupiamo, ci sentiamo sempre meno al sicuro. Abbiamo insegnato ai nostri figli a chiudere i rubinetti, a non sprecare, a riutilizzare, a leggere le etichette, a muoversi in bicicletta e a scegliere dagli scaffali ciò che ci sembra più giusto. Ma, giunti sino a qui, non può bastare.

Non si sa perché non sappiamo più arrabbiarci e pretendere. E non sappiamo insegnarlo ai nostri figli. Arrabbiarci per le agende sballate e le priorità ammiccanti ma inutili. Pretendere che chi deve prendere decisioni importanti ascolti senza pre-occupazione elettorale l’allarme e la ricetta della scienza.

Abbiamo alle spalle storia e storie in abbondanza, per non ripetere più errori già noti e abbiamo dati, studi ed evidenze per fare, senza esitazione, le scelte giuste, quelle urgenti, quelle ormai inevitabili.

Quest’anno, tra le tracce per il tema argomentativo della maturità c’era anche uno stralcio del discorso che Giorgio Parisi, fisico italiano che ha vinto il Premio Nobel nel 2021 per gli studi sui sistemi fisici complessi, ha tenuto l’8 ottobre 2021 di fronte al Parlamento, parlando dei temi tra i più caldi e complessi dei nostri tempi, quale appunto il cambiamento climatico e del ruolo della scienza e della politica:

«L’umanità deve fare delle scelte essenziali, deve contrastare con forza il cambiamento climatico. Sono decenni che la scienza ci ha avvertiti che i comportamenti umani stanno mettendo le basi per un aumento vertiginoso della temperatura del nostro pianeta. Sfortunatamente, le azioni intraprese dai governi non sono state all’altezza di questa sfida e i risultati finora sono stati assolutamente modesti. Negli ultimi anni gli effetti del cambiamento climatico sono sotto gli occhi di tutti: le inondazioni, gli uragani, le ondate di calore e gli incendi devastanti, di cui siamo stati spettatori attoniti, sono un timidissimo assaggio di quello che avverrà nel futuro su una scala enormemente più grande. Adesso, comincia a esserci una reazione forse più risoluta ma abbiamo bisogno di misure decisamente più incisive. Dall’esperienza del COVID sappiamo che non è facile prendere misure efficaci in tempo. Spesso le misure di contenimento della pandemia sono state prese in ritardo, solo in un momento in cui non erano più rimandabili. Sappiamo tutti che «il medico pietoso fece la piaga purulenta». Voi avete il dovere di non essere medici pietosi. Il vostro compito storico è di aiutare l’umanità a passare per una strada piena di pericoli. È come guidare di notte. Le scienze sono i fari, ma poi la responsabilità di non andare fuori strada è del guidatore”.

Da qualche giorno penso “se anche solo qualche ragazzo tra quelli che hanno scelto quel tema sta decidendo di fare qualcosa in prima persona…se noi sapremo supportare questa decisione con tutti gli strumenti possibili…se davvero sapessimo donare spazio a chi può fare la differenza…”

Blade Runner sarebbe un monito non una profezia.

FOTO DAL WEB

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