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Francesca Campora

Dal prossimo anno scolastico, rientrerà a far parte dei programmi ministeriali l’educazione civica. Difficile, per chi si occupa di formazione, accettare la sua lunga assenza – senza parlare poi della motivazione, un’idea di educazione decontestualizzata (disinteressata?) rispetto alla comunità umana e appiattita su aspetti tecnocratici e funzionalistici. Gioioso accoglierne il rientro e le opportunità che ci offre. Fondamentale mettersi subito al lavoro per trovare le “frequenze” su cui sintonizzare il percorso di docenti, studenti e famiglie affinché “educazione civica” voglia dire cittadinanza attiva e responsabile, partecipazione, innovazione, cambiamento. Bene comune.

È o non è la materia più importante, quella attorno a cui far convergere il senso, gli scopi di tutte le altre?

Le linee guida del Ministero parlano di “nuova educazione civica” e lasciano spazi di flessibilità e declinazione – perché è chiaro che, in un tempo complesso e pieno di sfide come il nostro, ci sia bisogno di un approccio rinnovato, capace di riconnettere velocemente ed efficacemente il dettato costituzionale – diritti e doveri di tutti per il famoso bene comune – alle emergenze ambientali, alle opportunità e ai rischi delle rivoluzioni digitali, alle ondate di intolleranza che seguono le ondate di globalizzazione, agli squilibri economici a cui seguono le ondate migratorie e quindi nuove ondate di fobie, a come si abitano i luoghi, a come si produce, a come si consuma, a come si viaggia. A come si vive ogni giorno.

Perché se è vero che le sfide e i problemi sono tanti e talvolta di dimensione e urgenza tale da richiedere impegni da parte intere nazioni, di organismi sovranazionali e di grandi multinazionali, altrettanto vero è che nessuna idea di cambiamento che riguardi la vita degli esseri umani e del pianeta può realizzarsi senza che siamo noi a renderla concreta ogni giorno, mettendola in scena nelle nostre case, per le strade, nelle scuole, negli uffici, sui vagoni della metropolitana, lungo un sentiero di montagna.

La nuova educazione civica deve avere questo obiettivo, deve poter dire ai nostri ragazzi che ogni singola azione conta, in ogni singolo momento di ogni giornata. Che qualunque sia l’idea di mondo migliore a cui vogliamo arrivare, l’unico modo per attualizzarla è muoversi sempre secondo quell’idea. Agire il cambiamento. Condividere il cambiamento. Essere il cambiamento. Insieme. Altrimenti, semplicemente, non funziona.

In questa prospettiva, apparirà loro subito evidente l’importanza delle singole azioni e della responsabilità diretta ma, allo stesso tempo, l’importanza del coordinamento, della coralità. Una “coreografia” di movimenti individuali accomunati dalla stessa ispirazione, dello stesso disegno, dallo stesso ritmo.

In un movimento di questo tipo – plurale, armonioso – non si può, evidentemente, essere tutti sempre in prima fila, non tutti nello stesso momento. “L’orchestra” richiede preparazione da parte di tutti, consapevolezza del proprio contributo e rispetto per quello degli altri, riconoscimento di tempi e spazi. Reciprocità. La determinazione e il coraggio di un passo avanti e la consapevolezza e la misura di un passo indietro. Che serve sempre a lasciare non un vuoto ma la possibilità di un passo “altro”. Magari quello giusto al momento giusto.

L’educazione civica – come educazione alla cittadinanza attiva e responsabile – dovrebbe poter riferire ogni contenuto, ogni tematica e ogni chiamata, alla preventiva e indispensabile acquisizione, da parte dei nostri giovani, di questa fondamentale capacità: sapere quando fare un passo avanti o un passo indietro.

Solo apparentemente facile per chi è nato nella società della spettacolarizzazione fine a se stessa, quella dell’indigestione social che appiattisce un mondo intero alla prima fila e regala una foto in copertina a chiunque.

Riconoscere le competenze. Sapere l’adeguatezza. Di un passo avanti o un passo indietro.

Loro, che domani saranno anche politici.

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